Fiammelle che rischiarano la vita

Dall’incontro con un sacerdote, il ritorno alla fede e l’inizio di un cammino nuovo: la storia si suor Raffaella, che l’8 aprile ha professato i voti definitivi nelle Missionarie di san Carlo.

«La sorgente dà sempre molto più di quanto basti all’assetato». Questa frase di san Bernardo è l’espressione sintetica di ciò che è accaduto nella mia vita, a partire dall’incontro con un sacerdote della Fraternità san Carlo che è stato decisivo per la mia fede, fino alla casa dove il Signore mi ha voluto. Quando ripenso alla mia storia, vedo una strada che era diventata tortuosa, una vita vissuta tante volte guardando dal buco del mio dolore, domande e rabbia, soprattutto verso quel Dio che da piccola avevo imparato a conoscere ma che a un certo punto mi era apparso lontano: non c’entrava con la mia vita, anzi, forse non c’era. Sono cresciuta in un paese della provincia di Avellino, fino ai 13, 14 anni ho frequentato la parrocchia del mio quartiere nella realtà dell’Azione cattolica. Poi, con l’inizio delle scuole superiori, c’è stato un abbandono graduale della parrocchia e, nel tempo, della Chiesa. Abbandono causato anche dallo scontrarmi per la prima volta in modo drammatico con la malattia e la morte – in quegli anni avevo perso due persone care – e dal sentire delusa la speranza che avevo riposto in Dio. Mi erano sorte in cuore tante domande, continuavo a chiedermi il perché di quelle morti e intorno a me non trovavo risposte. Finché ho deciso che potevo fare a meno di Dio. 

Gli anni delle superiori sono passati così. Mi sono iscritta all’università, mi sono laureata, ho iniziato a lavorare, prima in una casa-famiglia, poi in un Punto Informagiovani comunale. Avevo ancora in mente tanti progetti, ma in fondo ero triste perché la mia vita non prendeva una forma. Nel 2012 mi sono trasferita in provincia di Pesaro, nel tentativo di dare una svolta alla mia vita. E una svolta c’è stata, ma non come la immaginavo. Nell’agosto del 2013 ho incontrato don Michele Lugli, arrivato qualche mese prima nel paesino dove abitavo: è stato un incontro decisivo per la mia fede. Nell’amicizia con lui, mi sono riavvicinata alla Chiesa: aiutavo in parrocchia e allo stesso tempo facevo amicizia con alcune persone del movimento di Comunione e liberazione, a cui poi mi sono legata. Insomma, sulla mia strada tortuosa sono apparse – mi piace usare questa immagine – delle fiammelle, dei punti di luce che hanno iniziato a rischiararla: persone che vivevano con una certezza e riconoscevano nella loro vita un bene più grande di tutto. Un bene che colmava la vita e le dava senso. Questo bene aveva un nome: Gesù. 

Da quel momento, è iniziato un cammino, si è riaccesa una speranza

Seguire questi punti di luce è stato il mio primo sì a Cristo dopo tanti anni in cui fuggivo. Anche se a volte ancora vacillavo, la cosa più sorprendente per me era che non riuscivo più a non guardare la Sua mano tesa che mi aspettava. Da quel momento, è iniziato un cammino, si è riaccesa una speranza. I momenti passati con i miei nuovi amici erano belli, semplici ma sempre molto veri. Con il passare dei mesi, mi sono accorta che cresceva in me un desiderio di appartenenza e di dedizione totale a Cristo, proprio come lo vedevo in don Michele. Mi accorgevo che quel piccolo servizio che facevo in parrocchia mi rendeva felice. Ho iniziato a chiedermi il perché e piano piano si è fatta largo l’idea della consacrazione religiosa. Il passo successivo è stato parlarne e lasciarmi accompagnare a capire cosa c’era di vero in quel desiderio. Due cose mi erano chiare: volevo comunicare la vicinanza, l’amicizia di Cristo che illumina la vita, e volevo restare nel Movimento perché questa scoperta per me era avvenuta lì. Sapevo dell’esistenza delle Missionarie di san Carlo Borromeo e sentivo che quello era il luogo dove i desideri nati in me avevano preso corpo: allora ho sentito necessario un altro passo, quello decisivo, per andare a fondo di ciò che avevo intuito. Ho chiesto di incontrarle. 

La mattina che sono arrivata a Roma, nel giugno del 2017, ricordo che prima di citofonare ho chiesto: “Signore, se questa è la casa dove tu mi vuoi, fa’ che mi accolgano”. E così è stato. Anche quando ero arrabbiata con Dio, avevo in cuore due desideri: un amore grande a cui donarmi e il desiderio di una casa, “la mia casa” dove crescere, spendermi, essere felice. Finalmente questi desideri trovavano un luogo: l’amore grande a cui donarmi prendeva il volto di Cristo e la casa dove spendermi è diventata concretamente la comunità delle Missionarie e della Fraternità. Ero assetata di vita, di felicità, di senso, di amicizie vere, e l’incontro con il Signore mi ha dato tutto questo in sovrabbondanza. “Gesù t’innamora”, mi disse una volta una monaca agostiniana del monastero di Urbino, altro volto decisivo nella mia storia: una verità molto semplice ma per cui vale la pena dare tutto.

L’amore che trabocca

Lo scorso 8 aprile, a Roma, Suor Jennifer ha professato i voti definitivi. Tutto è iniziato in Minnesota dal desiderio di un “di più”.

Sono nata e cresciuta nel Minnesota, nel Centro-Nord degli Stati Uniti: una terra di grandi laghi e grandi sogni. Mi ha accompagnata da sempre l’intuizione che mi aspettava un grande amore. Nelle diverse fasi della vita, il Signore ha custodito e fatto maturare questa segreta convinzione e, attraverso i volti e la concretezza della vita, mi ha preservata e chiamata a sé.

Da piccola, guardavo in casa la mia mamma servire con letizia la famiglia e aprirsi alla realtà con stupore e positività. Mio papà ci insegnava a ragionare e a interrogarci sul mondo. I miei genitori hanno dato a me, a mio fratello e a mia sorella, il dono più grande, quello del battesimo nella Chiesa. Mi hanno insegnato a rivolgermi a Dio nella fiducia di chi sa che ci ama e vuole darci tutto ciò di cui abbiamo bisogno.

Alla fine delle medie, il mio desiderio di un “di più”, tante volte deluso dalle strade di compimento che mi venivano proposte dal mondo (amicizie interessate, eccellenza scolastica, ecc.), ha trovato finalmente una casa nell’invito di due amiche a partecipare a Gioventù studentesca, il gruppo di liceali di Comunione e liberazione. Al primo incontro, dove si cantava, ci si guardava l’un l’altro, si mangiava e si scherzava, ho pensato dentro di me: “Questi hanno trovato ciò che da sempre desideravo. Non so che cos’è ma non li lascerò mai più”. La vita è diventata una grande avventura e la mia ricerca, non più solitaria ma condivisa con altri, è diventata seguire una strada concreta, con la pazienza di perseverare anche se non capivo tutto, con apertura e gratitudine per ciò che mi veniva proposto: gli incontri settimanali, la caritativa, le nuove amicizie, la messa, la liturgia delle ore, ecc. Da fuori facevamo una vita del tutto ordinaria ma con noi c’era Gesù Cristo, colui che solo dà senso e pienezza a tutte le cose, colui che ci unisce davvero.

Riconoscevo dentro di me, con fascino e timore che Gesù mi stava chiamando.

Durante l’università, si sono chiariti in me due desideri molto forti. Il primo è stato quello di una sempre maggiore intimità con Gesù: lui mi ha fatto sperimentare il suo amore personale per me e io volevo rispondere. L’altro desiderio è stato vivere questo rapporto così intimo e profondo con altri e davanti a tutti. Negli anni passati con il Clu (gli universitari di Comunione e liberazione), la proposta cristiana che avevo iniziato a vivere alle superiori è andata maturando ed è diventata missionaria. Io frequentavo la grande università statale del Minnesota ed ero iscritta alla facoltà di Letteratura inglese e americana. Mentre mi godevo lo studio, notavo che tanti miei compagni di classe erano oppressi da un’estrema solitudine. Guardandoli, mi si stringeva il cuore: già da allora intuivo che il dono che avevo ricevuto non poteva non essere in qualche modo anche per loro. 

Durante questo periodo, è nata un’amicizia con un prete della Fraternità san Carlo, don Pietro Rossotti, che guidava la comunità del Clu. In lui, ho visto qualcuno che viveva ciò che anch’io desideravo vivere in modo libero e gioioso: una vita donata interamente a Cristo, in una casa con altri, aperta a tutto il mondo. Riconoscevo dentro di me, con fascino e timore, l’intuizione che anch’io ero fatta per una storia come la sua e che Gesù mi stava chiamando. 

A confermare questa intuizione è stata la Madonna. Alla fine dell’università, infatti, sono andata in pellegrinaggio a Our Lady of Champion in Wisconsin, l’unico luogo negli Stati Uniti dove Maria sia apparsa. Nell’incontro profondo con lei, ho capito di trovarmi con la donna più bella del mondo, non perché avesse avuto una vita perfetta o non avesse mai sofferto, anzi! Ma perché ha sempre scelto e preferito ciò che il Signore voleva per lei. Mi ha insegnato che la strada verso la felicità, la bellezza e la compiutezza sta nel dire al Signore: “Io voglio ciò che tu vuoi per me, perché è sempre meglio di ciò che posso immaginare!”.

Questo momento di abbandono a Lui, ha liberato in me il desiderio concreto di una forma di vita che ho scoperto esistere già tra le Missionarie di san Carlo. In questi anni, con loro, scopro sempre di più il mio posto nella casa che era stata preparata per me fin dall’eternità. Le mie sorelle sono l’amore vivente di Dio per me: un amore che trabocca e vuole dilatarsi a tutto il mondo.

Voti definitivi di suor Jennifer Andersen e di suor Raffaella D’Agostino

L’8 aprile 2024 suor Jennifer e suor Raffaella hanno professato i loro voti definitivi nelle mani di suor Rachele Paiusco, alla presenza di Padre Mauro-Giuseppe Lepori, Abate Generale dell’Ordine cistercense

Buona Pasqua!

dalla casa di via Aurelia Antica 236

Cari amici,
in via Aurelia antica, a metà febbraio, abbiamo ospitato un gruppetto di sette ragazze liceali per alcuni giorni di convivenza.
Abbiamo pregato insieme, abbiamo svolto qualche lavoro manuale insieme, abbiamo pranzato, cenato e passato le serate insieme e, aiutate da suor Raffaella e da suor Teresa, le ragazze hanno potuto approfondire la tematica della bellezza e del pudore. È sempre bello vedere l’attesa con cui queste giovanissime arrivano e la gioia con cui ripartono, dopo aver vissuto semplicemente qualche giorno nella comunione. Appena ripartite loro, ci siamo immerse nella quaresima, che per noi quest’anno è iniziata con due momenti significativi.
Il Mercoledì delle Ceneri abbiamo potuto ascoltare una lezione del cardinal Sarah, che ci ha ricordato come la quaresima sia il deserto che ci permette di tornare al rapporto con Dio, e il fine settimana successivo abbiamo vissuto tre giorni di esercizi spirituali predicati da don Paolo Sottopietra, in cui abbiamo approfondito il vangelo di Marco. Eravamo 3 case: la casa di formazione, quella del Centro e la casa della Magliana. Per tre giorni la vita in casa si è fermata: nessuna ha lavorato in ufficio, le faccende domestiche si sono interrotte, tutti gli impegni sono stati rimandati. E così, aiutate dal silenzio (e da tre splendide giornate di sole!), abbiamo potuto iniziare il cammino verso Pasqua rimettendoci davanti alla bellezza di Cristo. Veramente gli episodi del Vangelo, i miracoli, le guarigioni, gli insegnamenti, la cura per ogni singolo che Gesù aveva, le parole che rivolgeva a ognuno ci hanno mostrato il suo grande desiderio che noi torniamo alla fonte della nostra vita, a Lui.

È sempre bello vedere l’attesa con cui queste giovanissime arrivano e la gioia con cui ripartono, dopo aver vissuto semplicemente qualche giorno nella comunione


Poi la quotidianità ha ripreso regolarmente, tra lo studio, il lavoro, gli incarichi per la casa, le caritative. Sono settimane tranquille, un po’ monastiche, perché in quaresima desideriamo vivere più raccolte dando spazio al silenzio, al digiuno, alla Via Crucis settimanale, a una proposta di ascolto il venerdì sera e di film il sabato. Solo suor Chiara Tanzi ha affrontato un viaggio in questo periodo: ha passato due settimane nella nostra casa di missione a Grenoble, e da lì ha avuto anche la possibilità di fare un pellegrinaggio a Lisieux, da santa Teresina, la santa che ci ha accolte in Francia e a cui è dedicata la chiesa di fianco alla quale abitiamo.
Un ultimo grande evento che stiamo vivendo in questo periodo è la preparazione alla professione definitiva di suor Jennifer e di suor Raffaella, che sarà l’8 aprile, solennità dell’Annunciazione del Signore. È bello per tutte noi vedere la loro felicità e partecipare con loro a questo cammino che le porterà al loro sì definitivo a Cristo, pochi giorni dopo la Pasqua. Quest’anno vivremo queste due feste l’una a poca distanza dall’altra e così potremo vedere ancora più chiaramente la gioia della vita nuova che Cristo ci ha donato con la sua Risurrezione.

Buona Pasqua!

Una fede che va soltanto riaccesa

Una proposta di preghiera semplice ma concreta può aprire porte inaspettate. Una piccola testimonianza da via Aurelia Antica.

Dall’anno scorso suor Caterina e io abbiamo iniziato una nuova missione nel nostro quartiere intorno a via Aurelia Antica, aumentando le visite che già facevamo ai malati e agli anziani e raggiungendo anche giovani famiglie e persone sole. Sono individui di ogni tipo, per la maggior parte battezzati ma – chi più, chi meno –, lontani dalla Chiesa. Non nell’abitudine – magari frequentano ancora la messa domenicale – quanto nella mancanza di adesione a una fede vissuta. L’evento più incisivo delle nostre visite accade a ottobre e maggio, quando portiamo nelle case la statua della Madonna Pellegrina e proponiamo di recitare un rosario insieme. 

Un giorno, dopo la messa domenicale, ho deciso di fermare una coppia di mezz’età, Chiara e Andrea, che da un po’ di tempo desideravo conoscere, per parlare loro della Madonna Pellegrina. Davanti alla mia proposta, si sono guardati con un sorriso un po’ imbarazzato. Poi Chiara ha risposto: “L’anno scorso, i nostri vicini ci hanno invitati a partecipare e abbiamo detto di no… Il rosario non è una preghiera che conosciamo bene”. Siamo rimasti d’accordo che ci avrebbero pensato e la settimana successiva mi avrebbero dato una risposta. Alla fine della messa, la domenica successiva, sono venuti da me per dirmi che non avevano ancora deciso se accettare o meno ma che, dopo avere ascoltato l’omelia del parroco riguardo ai tanti e inaspettati modi in cui Dio ci viene incontro, tutti e due hanno capito che attraverso questa mia proposta il Signore voleva avvicinarsi a loro. 

Tutti e due hanno capito che attraverso questa mia proposta il Signore voleva avvicinarsi a loro

Alla fine, Chiara e Andrea si decidono. La sera dell’appuntamento, entrando nel condominio abbiamo visto sulla vetrata della portineria un volantino che pubblicizzava il rosario in casa loro. Avevano invitato tutto il palazzo! Nell’appartamento ci aspettavano una decina di persone: le mamme di Chiara e Andrea, una coppia di vicini fino a quel momento sconosciuti e vari altri amici. C’era un clima caloroso e familiare. Chiacchierando dopo il rosario, abbiamo scoperto che Chiara e Andrea sono cresciuti insieme nella nostra parrocchia. La mamma di Andrea ci ha raccontato con entusiasmo della vita piena che facevano con le altre famiglie del quartiere, anche radunandosi in quella casa per momenti di preghiera e comunione: “Questa è una casa-chiesa”, ha detto a un certo punto. Davanti a questa affermazione, siamo rimasti qualche secondo in un silenzio lieto. Guardando i volti ammirati di Chiara e Andrea, ho immaginato che a loro sia servito questo momento per riscoprire la gratitudine per la fede ricevuta in famiglia. A volte, basta una proposta semplice di preghiera e comunione, che viene accolta magari anche con qualche timore, per ravvivare una fede che già c’è, e forse va soltanto riaccesa. 

Una amicizia potente

Una volta al mese, una cena tra mamme diventa occasione di farsi compagnia nella fede e nella vita. Un racconto dalla Magliana.

Nella nostra casa della Magliana, da circa un anno, ci troviamo a cena una volta al mese con un gruppo di mamme della parrocchia. La nostra idea è di offrire loro un luogo in cui aiutarsi ad andare in profondità della amicizia che sta nascendo, uno spazio dove condividere le domande che sorgono nella quotidianità e aiutarsi a vivere concretamente la fede. Siamo infatti convinte che una amicizia vera tra donne possa essere davvero potente, come si vede più volte nel Vangelo, a cominciare dall’incontro tra Maria ed Elisabetta.

Ogni volta affrontiamo i temi che queste mamme hanno più a cuore, come il rapporto con i mariti, i figli e la loro educazione, il lavoro. Qualche giorno prima dell’incontro, con suor Maria Anna proponiamo delle domande che le aiutino a riflettere sul tema della serata. Le mamme condividono con semplicità interrogativi ed esperienze, lasciandosi mettere in discussione da ciò che l’altra dice. È capitato, ad esempio, che una mamma, rispondendo a un’altra troppo apprensiva con i figli, dicesse: “A mio figlio lo zaino non lo preparo. E se poi non ha la felpa che vuole, si arrangia, perché deve imparare a essere responsabile delle sue cose!”. 

La cosa più bella è quando la cena finisce nella rinnovata gratitudine per i doni ricevuti

La cosa più bella per me è quando la cena finisce in uno stupore di rinnovata gratitudine per i doni ricevuti, come esprime il Magnificat che canta Maria nella visita a Elisabetta. Così è accaduto quando abbiamo proposto all’ordine del giorno la rilettura delle promesse matrimoniali, e Letizia ci ha raccontato che, leggendola, si è commossa, perché dal giorno del suo matrimonio, tanti anni fa, non l’aveva più presa in mano. O ancora, quando parlavamo dei figli, le mamme si sono accorte del dono che è vivere in una comunità in cui possono e vogliono lasciare spazio perché anche altri adulti abbiano l’autorità di educarli. Così è stato quando Laura, già pronta a rimproverare suo figlio che continuava a mangiare patatine, si è fermata, vedendo che, dietro a lui, don Dino le faceva capire gesticolando che era stato lui a dargliele: “Se don Dino ha dato il permesso, allora va bene!”.

Questa gratitudine sfocia in modo naturale nella preghiera, come ci ha detto Patrizia un giorno: “Mi sono accorta che ogni volta che prego ringrazio per la presenza di mio marito”. Anche per questo è bello finire la serata insieme con la preghiera della Compieta, lodando il Signore. È proprio vero che insieme possiamo dire: I miei occhi hanno visto la tua salvezza (Lc 2, 30).

La pace di Maria

Nel mese di ottobre portiamo la Madonna Pellegrina nelle case del quartiere, intorno alla nostra parrocchia.

Come in tutte le nostre case di missione, anche qui a Broomfield nel mese di ottobre io e le mie sorelle abbiamo avuto la gioia ed il privilegio di accompagnare la Madonna Pellegrina nelle case del quartiere, intorno alla nostra Parrocchia, Nativity of Our Lord. Questa nuova tradizione, iniziata lo scorso maggio, è attesa dai parrocchiani con tanto desiderio: la prima settimana di ottobre il calendario mensile delle prenotazioni era già tutto pieno! Ogni sera siamo state in una casa diversa, incontrando tante persone che in qualche modo si sono sentite chiamate a ricevere l’icona della Madonna di Guadalupe che portavamo e che lasciavamo nella loro casa fino alla sera successiva.

Una delle prime sere siamo andate da un’anziana signora, di quasi novant’anni, vedova, emigrata dall’Italia con il marito quand’era molto giovane. Aveva preparato il tavolino dove mettere l’icona della Madonna, e ad aspettarci c’era anche una delle figlie insieme al marito. Dopo aver condiviso le intenzioni per cui pregare, la figlia, un po’ imbarazzata, ammette di non aver mai pregato il rosario e chiede, come una bambina: «Come si fa?». Iniziamo a spiegare le diverse parti del rosario, e poi preghiamo insieme, e lei ed il marito, tenendo in mano un rosario ciascuno, seguono con tanto rispetto il susseguirsi delle Ave Maria, calmi, percependo una grande pace. Terminato il momento di preghiera ci ringraziano, e l’anziana signora mi mette in mano tre dollari che aveva preparato come offerta per noi. In quel momento mi è tornato in mente l’episodio della povera vedova al tempio che dona tutto quello che possiede, e mi sono sentita onorata di poter essere spettatrice di quel gesto.

Un’altra sera siamo state da una delle giovani famiglie di cui siamo amiche, che abitano nella nostra stessa via. La mamma è stata una delle prime a segnarsi nel calendario, e ha voluto scegliere un giorno specifico per ricevere la Madonna a casa. Alla fine del rosario scopriamo che è il suo compleanno e lei, offrendoci un pezzo di torta, ci dice con molta semplicità e sincerità che per lei non ci sarebbe stato modo migliore di questo per festeggiarlo.

Nella preghiera del rosario l’esperienza di trovare lì pronta la Madonna a farsi compagna

Un evento a cui abbiamo assistito spesso nell’accompagnare la Madonna nelle case della nostra gente è stata l’attesa entusiasta da parte dei bambini, e la familiarità con cui si rivolgono a Lei: un bambino di tre anni, dopo aver guidato una decina, se l’è presa di non poter condurre lui tutto il rosario e di dover lasciare spazio anche ai suoi fratelli più grandi; un’altra bimba è stata ritrovata davanti all’icona della Madonna, da sola, a parlarle metà in inglese e metà in indiano; un altro bambino ancora, al momento di riprendere la Madonna per portarla in un’altra casa, si è messo a piangere perchè “Mom Mary” doveva andare via.

Ci sarebbero tante altre storie da raccontare, ma il filo conduttore di tutte è stato l’emergere di una grande sete di non sentirsi soli, e nella preghiera del rosario l’esperienza di trovare lì, pronta, la Madonna a farsi compagna in questa supplica e a rispondere, donando la Sua pace.

Il Bambino che ci salva

A Roma, un pomeriggio di canti natalizi dalle suore di Madre Teresa insieme ai loro ospiti per festeggiare il Salvatore che nasce.

«Quando andiamo a cantare in ospizio per le persone che sono sole e anziane?»: da mesi la nostra vicina di casa novantenne insisteva con questa richiesta. Una sera che ci troviamo a casa sua per dire il rosario e decidiamo di concludere la serata con dei canti alla Madonna: con grande stupore ci accorgiamo che la signora Teresa suona benissimo il pianoforte! Con l’avvicinarsi del Natale, le proponiamo di andare insieme a cantare nella casa di accoglienza per uomini senza tetto, gestita dalle suore di Madre Teresa dove, da alcuni mesi, faccio caritativa.

Arriviamo prima del previsto all’appuntamento, fissato per il 23 dicembre alle 16.00, e dopo aver preparato la sala attendiamo trepidanti l’arrivo degli ospiti: sessanta uomini di ogni età e nazione scendono dalle scale e sfilano in processione davanti a noi per raggiungere le loro sedie, qualcuno in sedia a rotelle, qualcuno con le stampelle, alcuni entusiasti, altri un po’ svogliati. Tanti ci sorridono, hanno occhi vivi e gioiosi. In questi mesi ho potuto ammirare le suore di Madre Teresa all’opera, come li guardano e come stanno con loro. Mi hanno sempre colpito questi occhi di uomini che sanno di essere attesi, e sono grati di trovarsi in una casa che li accoglie e li ama. Mentre passano, Aurelio, uno di loro, si avvicina con le cuffiette alle orecchie e, orgoglioso, mi fa sentire che sta ascoltando il rosario su RadioMaria; Moses mi bisbiglia che vuole la rivincita della partita di calcetto che ha perso la settimana prima; Mario invece si scusa dicendo che si dovrà alzare prima per andare dal dottore. Quando sono tutti seduti la signora Teresa mette mano alla tastiera e suor Caterina intona i canti.

Mentre cantiamo, rivolti al bambinello che nasce nella grotta, immagino le notti che anche loro hanno passato al freddo e al gelo. Non conosco le loro storie ma so che siamo vivi perché quel bambino ci ha salvati, quel bambino che solo infonde pace nei cuor. Mentre penso a queste cose si sente urlare dal popolo: «Forza Teresa, un po’ di grinta!».

Il pomeriggio si conclude con un canto a Maria, Madonna nera, il preferito tra i molti polacchi presenti. Tutti cantano forte e a più voci. Seduto davanti a me c’è Patrick, in carrozzina, che non può sollevare la testa, incurvata tutta in avanti, per la sua malattia che non gli permette neanche di parlare. Vedo solo il suo profilo nascosto sotto al cappuccio e le sue labbra che si muovono a tempo: la sua voce non si sente ma lui sta cantando che è dolce esser tuo figlio.

Dove c’è Dio tutto è musica

La bellezza della musica e la gioia della danza fanno innalzare il cuore a Dio: una domenica a Nairobi.

La domenica mattina a Kahawa Sukari ci sveglia il canto dei galli dei vicini di casa e quello degli uccelli; in Africa anche gli uccelli cantano a ritmo, intonando una melodia di sottofondo. A questa musica si aggiunge il fruscio delle foglie dei banani che si potrebbe anche confondere con lo scroscio d’acqua di un temporale, se non fosse che il suono è più dolce. È il creato che si sveglia, e noi con lui; l’inno che accompagna le nostre lodi mattutine alla domenica recita infatti: «L’aurora risplende di luce, il cielo si veste di canti, la terra inneggia gioiosa a Cristo risorto dai morti».

Alle 7:30 inizia la prima messa festiva della parrocchia di St. Joseph, affidata ai sacerdoti della Fraternità san Carlo. La chiesa dista solo poche decine di metri da casa nostra, e i megafoni, amplificando, ci permettono di partecipare agli inni gioiosi del popolo keniota. Il nostro tempo di silenzio mattutino partecipa, così, al “rivestirsi di canti” espresso dall’inno. Dopo poche ore anche noi ci aggiungiamo alle messe festive; la chiesa è in festa, i bambini e i giovani animano la messa con processioni danzanti e canti polifonici, che ogni volta mi commuovono. La domenica qui a Nairobi è davvero il giorno del Signore.

Sono arrivata in Kenya poco più di sette mesi fa, e la prima cosa che mi ha colpito è la cura della liturgia che si vive nella nostra parrocchia: tutto ha senso, tutto è pensato per esprimere la bellezza del rapporto con Dio. I nostri sacerdoti, inoltre, desiderano valorizzare il bello delle tradizioni locali, arricchendole con la pienezza di vita e la verità generate dalla fede; così, nelle danze liturgiche, lo spirito e il corpo si uniscono in espressioni di gioia sonore.

Il martedì mattina, suor Erika e io accogliamo in parrocchia un gruppo di mamme con i loro bambini disabili. Il gruppo porta il nome della canzone Lasciati fare di Claudio Chieffo (in kiswahili: Ujiachilie). Le note che accolgono e congedano le mamme e i bambini sono quelle di una canzone che descrive l’appartenenza. 

Quando la vita è illuminata dal Signore, il cuore canta e balla

Le mamme arrivano in chiesa portando i loro bimbi sulla schiena; anche se pochissime sono cattoliche, affidano le loro intenzioni alla Madonna, durante il rosario che apre la mattinata assieme. Poi ci sono i canti per i bambini: hanno diversi tipi di disabilità ma sono tutti sorridenti. Alcuni di loro battono le mani, altri abbozzano una danza, altri ancora, semplicemente, guardano me e suor Erika un po’ sbalorditi. Con le donne condividiamo un momento di assemblea. Sono state quasi tutte abbandonate dai loro uomini e dalle famiglie e insieme mettiamo a tema tutto della loro vita: la conoscenza del proprio corpo, i rapporti affettivi, la relazione con Dio, il senso della vita e della morte. In questi momenti, si piange e si ride tanto. Concludiamo quasi sempre la mattina con qualche ballo tradizionale.

Se poi ci si sposta nelle scuole, si vede come anche i bambini non esitino a lanciarsi in momenti di canto e ballo, così come non esiste aggregazione giovanile dove non sorgano spontaneamente gruppetti di ragazzi che improvvisano danze giocose: quando la vita è illuminata dal Signore, il cuore canta e balla.

Nei luoghi dove Dio non c’è, invece, la musica si trasforma in rumore e tristezza. Dai pub con luci soffuse arriva l’eco di canzoni che promuovono rapporti promiscui e violenza. Nelle vie del quartiere, alcune musiche assordanti non invogliano a ballare ma a lasciarsi andare all’oblio.

Il giorno del Corpus Domini è stato bellissimo seguire i sacerdoti che camminavano per il quartiere, vedere centinaia di parrocchiani intonare canti di festa, e tanta gente incuriosita affacciarsi dalle case per capire cosa stesse succedendo. Alcuni hanno spento il loro rumore per lasciar entrare la musica di Dio. Io amo la musica e il canto. Dio usa di questa mia passione per farmi entrare in un rapporto di affetto e amicizia con questa terra e questo popolo ma, soprattutto, con Lui.

Voti temporanei Lidwin

L’8 dicembre 2023 suor Lidwin von Spee ha professato i suoi voti temporanei nelle mani di suor Rachele Paiusco. Alla cerimonia erano presenti i suoi familiari, la comunità delle Missionarie e i sacerdoti della Fraternità san Carlo.

Un compito pensato proprio per me

L’incontro con gli studenti di una scuola francese permette di rileggere la propria storia. Una riflessione da Grenoble.

Quest’anno ho avuto l’occasione di conoscere la nostra casa a Grenoble dove sono stata ospitata durante la stesura della tesi. La vita della missionarie lì si intreccia con quella del liceo che circonda il nostro giardino e con la quotidianità dei ragazzi che nella scuola trascorrono tre anni, rischiando di incontrare una delle suore impegnate nell’insegnamento e nella pastorale. Con alcuni di loro, in primavera, abbiamo vissuto il difficile momento del passaggio all’università. In Francia, infatti, i liceali dell’ultimo anno devono inserire i dati personali in una piattaforma digitale, per poi avere risposte relative all’ammissione nelle varie facoltà. Alla fine, qualcuno si trova davanti una porta aperta in una delle rinomate grandes écoles; altri, invece, ricevono dure delusioni.

Entro l’estate scoprono a quali università potranno accedere ma altre domande, ben più importanti, rimangono aperte: io chi sono? Che cosa valgo? Anch’io ho dovuto fare i conti con queste domande. Mentre crescevo a New York e poi a Washington, ogni anno facevamo a scuola esami che ci collocavano in una classifica nazionale: a me pareva una scala stretta e lunghissima dove pochi riuscivano ad arrivare in cima.

Ho potuto scoprire che il senso della vita non stava nel faticoso tentativo di eccellere in tutti gli ambiti ma nell’essere pienamente la persona che il Signore voleva che fossi

Nel frattempo, un’altra visione del mondo era già stata seminata in me, la visione che i miei genitori mi avevano trasmesso e che la comunità cristiana ha fatto maturare. Ho potuto scoprire che il senso della vita non stava nel faticoso tentativo di eccellere in tutti gli ambiti ma nell’essere pienamente la persona che il Signore voleva che fossi. La vita non è quindi una scala vertiginosa dove occorre anzitutto impegnarsi per non rimanere in basso. È piuttosto come un mosaico immenso e multicolore, dove la mia vita è un tassello unico nella storia, che occupa un posto tutto suo in un disegno grande e bello. 

Ricordo un momento emblematico di questo cammino, il primo giorno all’università. Tutto sommato, mi era andata bene: l’università era buona e avevo anche vinto una borsa di studio. Quel giorno, mi ha chiamato mio papà: “Volevo dirti che per me puoi anche fare la parrucchiera, basta che tu sia felice. Ciao!”. Sarei stata davvero poco portata per fare la parrucchiera, ma il messaggio era chiaro: più di tutto, è importante che tu sia te stessa, e felice. Nel tempo, a questa scoperta se ne è aggiunta un’altra: non solo che dietro a tutto c’era Qualcuno che desiderava la mia felicità ma che Egli aveva anche pensato ad un compito proprio per me, nella costruzione del suo Regno. Vivere con questa libertà ha reso belli gli anni universitari e il cammino della mia vocazione, per cominciare a mettere il mio tassello nel disegno del Padre. 

È questa la verità che vogliamo condividere con i giovani amici francesi e non. Attraverso un’amicizia semplice e ancora iniziale, fatta di scambi tra le lezioni, di qualche pasto insieme, degli incontri ogni venerdì, si cerca di aiutarli a scoprire che valgono molto più della riuscita a scuola o nella carriera futura. Che la loro vita è una bella avventura in cui c’è un Padre buono che ha pensato per ognuno un compito unico e irripetibile.

Processione Madonna di Pompei

Processione in occasione della festa della Madonna del Rosario di Pompei organizzata dai missionari e dalle missionarie del quartiere Magliana di Roma.

La gioia dell’inizio

A Broomfield ricomincia la scuola: il nuovo inizio tra i banchi è l’occasione per riscoprirsi attesi e amati.

Assemblea scolastica di inizio anno

I giorni che precedono l’inizio della scuola sono sempre intensi. Alla scuola Nativity: Faith and Reason di Broomfield (Colorado), per preparare l’inizio del nuovo anno noi insegnanti ci siamo presi alcune giornate di lavoro comune e individuale, assieme a un giorno di ritiro con tutto lo staff. Di lavoro tanto, e di tempo poco: ma i sentimenti predominanti erano la gioia di rivederci dopo l’estate e il desiderio di iniziare insieme il lavoro con i bambini e i ragazzi.      
            Il primo giorno di scuola tutti insieme abbiamo accolto gli studenti all’ingresso. Alcuni non volevano entrare, altri erano ancora addormentati, altri invece erano felicissimi e ci facevano vedere gli zaini nuovi, altri ancora ci raccontavano qualcosa dell’estate, come i tanti piccoli denti caduti che hanno lasciato in cambio qualche soldo! Ma i più felici di tutti erano i genitori: ci affidavano i loro bambini con la speranza di riuscire a combinare qualcosa, ora che la casa finalmente si svuotava.      
            Per noi insegnanti una delle priorità i primi giorni è essere attenti ai nuovi ragazzi, soprattutto a quelli che vivono il difficile passaggio dalle elementari alle medie e che spesso si trovano persi tra i corridoi. Mi viene in mente Mike, nuovo nella scuola, che comincia la prima media. Ogni cambio di classe è stato per lui impegnativo perché non sapeva dove andare, così gli insegnanti a turno lo hanno accompagnato da una lezione all’altra, rassicurandolo di essere nel posto giusto. Ora, dopo qualche giorno, si sta ambientando e riesce a essere più autonomo, ma non lascia la classe senza dare un abbraccio all’insegnante di turno.   
            Il suo bisogno è stato oggetto d’amore, e Mike si è lasciato guidare da chi era davanti a lui. I suoi abbracci sono gesti di gratitudine per l’essere stato atteso, accolto e voluto bene. Tutto il tempo e tutto il lavoro speso per preparare l’inizio della scuola dice ai ragazzi: “Tu non sei solo”. Perché gli insegnanti guardano così gli studenti? Io credo proprio che sia perché loro per primi si sentono attesi, accolti e voluti bene. Per questo il sentimento prevalente dell’inizio è la gioia, e la speranza di quello che il Signore ci sta preparando.

“È bello che tu esisti!”

Tutte le settimane in caritativa in una realtà terapeutica per giovani con dipendenze. Un testimonianza dalla Comunità Cenacolo.

Madre Elvira Petrozzi (1937–2023), fondatrice della Comunità Cenacolo, che attualmente conta oltre 70 fraternità di recupero in tutto il mondo.

Da fine settembre allo scorso aprile, per più giorni ogni settimana, ho partecipato alla vita della casa romana della Comunità Cenacolo. La comunità è nata a Saluzzo nel 1983 da un’intuizione di suor Elvira Petrozzi, è una realtà ormai internazionale che accoglie giovani affetti da diverse dipendenze.

La Cenacolo non è semplicemente un luogo di recupero o assistenza sociale, ma si fonda su alcuni pilastri in cui sono felice di essere entrata. Le giornate sono scandite da preghiera, lavoro e tanta condivisione fraterna; quindi anch’io ho pregato, lavorato e condiviso con loro imparando qualcosa anche per la mia vita.

L’ultimo giorno che ho passato con loro un sacerdote mi ha chiesto: “Allora, cosa dici di questa esperienza alla Cenacolo?”. Gli ho risposto che mi aveva colpito il richiamo costante ai ragazzi affinché vivano nella verità, trasparenti davanti a sé, a Dio e agli altri. In comunità si cerca sempre una correzione reciproca netta e chiara, che vuole aiutare l’altro a guardarsi sempre più a fondo per crescere nella propria umanità. È una correzione che chiede di imparare a tacere e aprirsi all’ascolto, staccandosi dalle proprie suscettibilità, dai moti istintivi di difesa, come strada di libertà gli uni verso gli altri.

Soprattutto, ho detto, c’è una frase che mi sembra la sintesi di questi mesi. È una strofetta che in comunità si canta a tutti i compleanni: “È bello che tu esisti!” Per tanti giorni mi sono chiesta cosa spinge a iniziare un percorso in un luogo così. È una comunità particolare, dove la proposta è radicale, esigente, dove in ultimo è chiesto di abbandonarsi a Dio per essere uomini e donne rigenerati. Il giorno del mio compleanno le ragazze della Cenacolo hanno organizzato una piccola sorpresa per farmi gli auguri e, naturalmente, era prevista anche questa canzoncina. È stato lì che ho pensato: “La risposta è questa. In questo luogo c’è qualcuno che accogliendoti ti fa sentire che è bello che tu esisti. Lo sporco, i peccati, il male, non cancellano quello che sei agli occhi di Dio: Sei prezioso ai miei occhi, sei degno di stima e io ti amo (Is 43,4). Le persone che arrivano in questa comunità, nel cammino che non li esime da fatica, dolore, cadute e scelte sbagliate, scoprono e riscoprono ogni giorno questo sguardo buono su di loro. È questa scoperta di sapersi amati che fa rinascere la vita. Anche il giorno in cui sono partita, insieme a un dolce buonissimo e a un regalo pensato apposta per me, non poteva mancare la famosa strofetta: “È bello che tu esisti!”. Per me un saluto prezioso.

Festa della san Carlo

Sabato 16 settembre, l’anniversario di fondazione della Fraternità e delle Missionarie di san Carlo. La festa ha avuto luogo presso la parrocchia di Santa Maria del Rosario, nel quartiere della Magliana.

Via Lauretana

Dal 6 al 12 settembre le novizie della Casa di Formazione accompagnate da suor Rachele, suor Chiara e suor Francesca, hanno camminato per 149 km lungo il pellegrinaggio della via Lauretana da Assisi a Loreto.

Meeting di Rimini

Dal 20 al 25 agosto 2023 la Fraternità e le Missionarie hanno partecipato al Meeting di Rimini dal titolo “L’esistenza umana è un’amicizia inesauribile”. Ogni giorno allo stand la mostra sul viaggio missionario di Paolo e Barnaba, testimonianze e incontri.

Vacanze estive

Ogni due anni la Fraternità e le Missionarie di san Carlo Borromeo si radunano da tutto il mondo per vivere insieme una settimana di incontri, lezioni, testimonianze, serate di canti e gite in montagna.

Segni umili ma forti

Anche in mezzo ai grattacieli di New York tutti i cristiani sono chiamati ad essere segno della Presenza che gli uomini e le donne di oggi attendono.

A dicembre sono partita dalla Casa di Formazione per trascorrere l’inverno nella nostra missione a Broomfield, in Colorado, dove le Missionarie sono presenti nella parrocchia Nativity of Our Lord insieme ai sacerdoti della Fraternità san Carlo. Ho avuto pertanto l’occasione di partecipare al New York Encounter, un weekend di mostre e incontri culturali organizzato a febbraio dalla comunità americana di Comunione e Liberazione. Ci sono andata con tutte le sorelle della casa di Broomfield e con un gruppetto di amici. Abbiamo approfittato poi dei momenti liberi per visitare alcuni luoghi della città legati ai santi del Nord America come, per esempio, la santa italiana Francesca Cabrini a cui è dedicato un intero santuario.

Ci siamo accorte subito che vedere delle suore per le strade di Manhattan non è qualcosa a cui gli abitanti di New York sono abituati: agli osservatori attenti, quattro donne con un abito religioso provocano almeno un sobbalzo. Camminando verso la cattedrale per la messa quotidiana, ad esempio, siamo passate da Times Square. Ad un semaforo pedonale, ha attraversato la strada accanto a noi un uomo tutto vestito da Spiderman, con tanto di maschera, guanti e scarpe. All’inizio abbiamo sorriso guardandolo con curiosità, ma poi ci siamo rese conto che nessuno si curava particolarmente di lui. Spiderman non destava stupore, mentre – dalla reazione di chi ci incrociava sui marciapiedi – abbiamo dedotto che lo stesso non si poteva dire di noi. Alcuni si sono mostrati ostili, in altri ho potuto notare simpatia e anche sincera stima. Non raramente i passanti si sono avvicinati chiedendoci chi fossimo o da dove venissimo. Alcuni ci hanno affidato delle intenzioni di preghiera. C’è stato addirittura chi si è offerto di pagarci il pasto: mentre mangiavamo gli ultimi bocconi di una pizza, abbiamo visto alla cassa due uomini discutere in amicizia. Sul momento non ci abbiamo fatto troppo caso, ma poco dopo al saldo del conto, abbiamo scoperto dalla commessa che quei due uomini avevano pagato in anticipo per noi. Proprio il nostro conto era l’oggetto della contesa di poco prima. Non c’è stato il tempo di poter dire più di un semplice “grazie” perché, senza troppi complimenti, sono andati via continuando la loro giornata di lavoro. Un’altra persona ancora ci ha pregato di poterci offrire la colazione, commosso semplicemente dal fatto che quattro suore fossero lì, in un bar qualsiasi di Manhattan. Al fondo di questi gesti di amicizia gratuita ho trovato una profonda nostalgia di Dio e di segni visibili che lo ricordino, che parlino di lui, che assicurino la sua compagnia nelle giornate indaffarate.

Per tornare ai santi legati alla città di New York, mi è rimasta impressa la vista della casa di Elizabeth Seton, la prima santa nativa statunitense. Nell’estremo sud di Manhattan, circondata quasi con prepotenza da altissimi grattacieli di vetro, resiste una bella casetta in mattoni rossi coronata da una croce, un piccolissimo fazzoletto di terra abitato visibilmente da Dio. In questo contrasto ho visto una bella immagine per la chiamata, nostra e di tutti i cristiani, ad essere segni umili ma forti della Presenza che tutti gli uomini e le donne di oggi attendono, anche in mezzo ai grattacieli di New York.

La santità è per tutti

Un docufilm su Madre Teresa risveglia la coscienza della chiamata alla santità rivolta a ciascuno di noi.

Recentemente è stato prodotto un docufilm sulla vita di Madre Teresa di Calcutta, santa molto amata. Di lei è noto il profondo amore per i più poveri dei poveri, nei quali riconosceva Cristo crocifisso e bisognoso di essere servito e amato, come lo stesso Gesù le aveva rivelato. In loro Madre Teresa vedeva Cristo risplendere come vincitore, e forse proprio da questa regalità scaturiva in lei una schiettezza gentile, che la portava a dire la verità con carità, senza fare male. Abbiamo voluto proporre questo documentario a un gruppo di giovani lavoratori della nostra comunità di CL, coi quali di tanto in tanto ci troviamo il sabato sera per un film a casa nostra. Alle tre del pomeriggio alcuni di loro sono arrivati per preparare la cena con pizza, mandazi e african chai, mentre nella sala adiacente alla cucina un altro gruppetto scaldava l’atmosfera con canti di tutti i tipi.

Alle 18.30 comincia il film: Madre Teresa parla prima con gesti e poi, in modo molto deciso, anche con parole. Non è da sola nel suo incontro con gli uomini. L’accompagnano le sue sorelle, poi i sacerdoti e i consacrati del suo ordine, e perfino il Santo Padre, Giovanni Paolo II, che le chiede di andare ovunque e di raggiungere i luoghi dove lui non può andare. In casa nostra cala un silenzio bello e intenso, e dopo non molto scende anche qualche lacrima, tanto che, a luci accese, la discussione fatica a partire.

“Non amo vedere film sulla sofferenza, non amo soffrire, ma recentemente ho scoperto, come anche questo film testimonia, che la santità è per tutti”

Scorgo sul volto di Jeff, un nostro amico disabile grave, un grande sorriso e gli chiedo se il film gli è piaciuto. “Moltissimo”, risponde senza esitazione. Poi Frank pone una domanda semplice e al contempo profonda: “Perché avete deciso di farci vedere questo film?”. Senza pensarci a lungo, ci siamo rese conto di essere cresciute con Madre Teresa e con Giovanni Paolo II, e che la testimonianza della loro radicalità andava condivisa. Edna offre un contributo decisivo: “Per me non è difficile aiutare le persone bisognose, ma durante il film mi sono chiesta se guardo con lo stesso amore i miei genitori e i membri della mia famiglia”. Infine, Alex: “Non amo vedere film sulla sofferenza, non amo soffrire, ma recentemente ho scoperto, come anche questo film testimonia, che la santità è per tutti”. Seguono al film cena e canto finale, poi tutti a dormire. Chissà cosa c’è nel cuore di questi giovani. Ma noi siamo certe che Alex ha proprio ragione.

Festa di Via Aurelia Antica 236

Dal 25 al 27 maggio 2023 si è svolta la “Festa di Via Aurelia Antica 236”: tre giornate dedicate a trascorrere tempo insieme nella nostra casa madre.

Processione Madonna di Pompei

Domenica 7 maggio, i missionari e le missionarie presenti nel quartiere Magliana di Roma hanno organizzato una processione dalla parrocchia di Santa Maria del Rosario alla chiesa della Madonna di Pompei.

Jumuiya

Il ritrovo mensile del gruppo della Jumuiya nel salotto della nostra casa: un popolo gioioso che si trova insieme, segno di cos’è la Chiesa.

Il territorio della nostra parrocchia a Nairobi, in Kenya, è diviso in gruppi chiamati Jumuiya, ognuno dei quali prende il nome da un santo. Da circa un paio di anni partecipo alla Jumuiya “saint Mary”: il mercoledì sera si recita insieme il rosario accompagnato dalle intenzioni di preghiera e si legge e commenta il passo del Vangelo della domenica seguente. Dopo la pandemia, da qualche mese abbiamo ricominciato a vederci nelle case, ospitati ogni volta da un membro diverso. Questo è bello, perché si vive una dimensione familiare ed è possibile conoscere le persone che ruotano attorno a quella casa. I membri di una Jumuiya, oltre a ritrovarsi settimanalmente, si assistono in caso di necessità quando, ad esempio, un membro o un familiare è malato.
Una volta al mese un sacerdote visita il gruppo. In quell’occasione, durante il rosario, è possibile confessarsi e dopo si celebra la messa. Così è accaduto qualche tempo fa, quando la nostra casa ha accolto don Giuliano e i membri della mia Jumuiya. Il nostro salotto si è trasformato in una piccola cappella che ospitava circa trenta persone. Era tutto ben organizzato e gioioso. Erano presenti anche alcune suore della comunità Francescana del Buon Pastore, che abitano nella zona della nostra parrocchia. Con le loro voci squillanti hanno guidato canti belli e vivaci. Altre persone si sono organizzate per la sadaka, cioè l’offertorio, e c’è stata una piccola processione dove si è portata, oltre all’elemosina, frutta di stagione.
Una volta al mese un sacerdote visita il gruppo. In quell’occasione, durante il rosario, è possibile confessarsi e dopo si celebra la messa. Così è accaduto qualche tempo fa, quando la nostra casa ha accolto don Giuliano e i membri della mia Jumuiya. Il nostro salotto si è trasformato in una piccola cappella che ospitava circa trenta persone. Era tutto ben organizzato e gioioso. Erano presenti anche alcune suore della comunità Francescana del Buon Pastore, che abitano nella zona della nostra parrocchia. Con le loro voci squillanti hanno guidato canti belli e vivaci. Altre persone si sono organizzate per la sadaka, cioè l’offertorio, e c’è stata una piccola processione dove si è portata, oltre all’elemosina, frutta di stagione.
Poi la serata è proseguita, perché quando c’è il sacerdote e si celebra la messa, si festeggia! Chi ospita la Jumuiya si preoccupa di preparare la cena: suor Antonella ha cucinato dell’ottima pizza, graditissima a tutti, e suor Elena ha preparato due torte che sono state accolte come una sorpresa, visto che di solito qui si mangiano solo per le feste di compleanno o durante grandi celebrazioni.
È stata una semplice serata, ma piena di gioia. C’erano persone di diverso tipo: dalla piccola Sarah, sei anni, venuta col papà, alla mitica Leah, una signora in pensione piena di vita e iniziativa che è l’anima del gruppo. C’erano Mary, una giovanissima mamma appena arrivata che vive col marito nel territorio della parrocchia, ed Elizabeth, che conosciamo da quando faceva le elementari e che ora sta facendo l’università. È un popolo gioioso che si trova insieme, segno di cos’è la Chiesa: persone, a volte anche molto diverse, unite attorno a Cristo. Si tratta di un dono grande che la nostra missione a Nairobi vive.

Risvegliare le domande

È affascinante poter toccare attraverso la filosofia alcuni temi che fanno parte delle materie che hanno nel percorso di studi: il lavoro, la responsabilità, la persona, la sofferenza, la morte.

Questo è il secondo anno che insegno filosofia al liceo professionale di Corenc, poco fuori Grenoble: è davvero una piccola goccia gettata nel grande mare del percorso scolastico dei ragazzi, perché consiste in un’ora a settimana, esclusi i periodi di stage lavorativi e le vacanze. Ho tre classi dell’ultimo anno, conosco gli alunni a settembre e a giugno dopo l’esame di maturità li vedo partire verso i loro orientamenti professionali già ben definiti: commerciale, gestionale, sanitario.
È affascinante poter toccare attraverso la filosofia alcuni temi che fanno parte delle materie che hanno nel percorso di studi: il lavoro, la responsabilità, la persona, la sofferenza, la morte. Ho deciso però di cominciare dando tempo alle domande, all’atto stesso di porsi delle domande. Ho chiesto loro di scrivermi su un foglio le questioni più importanti che hanno e mi sono ritrovata a leggere: “cosa c’è dopo la morte?”, “la vita è solo una messa in scena?”, “cos’è per te l’amore?”. Le ho raccolte e ho mostrato che la filosofia si interroga proprio su queste stesse domande, le domande ultime dell’uomo, e le riformula.

La reazione è stata di sorpresa, come di qualcuno che scopre di essere anche lui, da sempre, un po’ filosofo!

Se mi ha colpito vedere il loro spirito che si interroga, sono rimasta ancora più sorpresa da un altro esercizio che ho tentato in classe: ho dato loro una lunga lista di domande, su tanti temi e a vari livelli, come “perché lavoriamo?”, “si può perdonare tutto?”, “in nome di cosa dare la vita?”, “da dove viene la gioia?”, “possiamo cambiare il mondo?”. Ho chiesto loro di sceglierne una, la più vicina, la più personale, e di scrivermi un inizio di risposta. Li ho visti per la prima volta veramente impegnati, in silenzio, tutti presi soprattutto dallo scegliere la domanda. E allora ho pensato che si deve insegnare ai ragazzi di oggi a formulare le domande, a dar voce e mettere delle parole a sentimenti e moti che hanno dentro, perché non possiedono strumenti per leggere la vita e le loro stesse persone.
Tutto nella nostra società corre veloce e in superficie, c’è spazio solo per reazioni e non per interrogarsi sulle cose. Forse per questo un giorno Florian ha esclamato in classe: “Madame, ma la filosofia si fa domande su tutto! È stancante!”. L’ho guardato con simpatia, perché so che è una stanchezza buona, che se accettata lo farà crescere.