Processione Madonna di Pompei

Domenica 7 maggio, in onore della festa della Madonna del Rosario di Pompei dell’8 maggio, i missionari e le missionarie presenti nel quartiere Magliana di Roma hanno organizzato una processione dalla parrocchia di Santa Maria del Rosario ai Martiri Portuensi fino alla chiesa dedicata alla Madonna di Pompei, dove hanno infine recitato insieme la Supplica.

Jumuiya

di suor Sara Rampa

Il territorio della nostra parrocchia a Nairobi, in Kenya, è diviso in gruppi chiamati Jumuiya, ognuno dei quali prende il nome da un santo. Da circa un paio di anni partecipo alla Jumuiya “saint Mary”: il mercoledì sera si recita insieme il rosario accompagnato dalle intenzioni di preghiera e si legge e commenta il passo del Vangelo della domenica seguente. Dopo la pandemia, da qualche mese abbiamo ricominciato a vederci nelle case, ospitati ogni volta da un membro diverso. Questo è bello, perché si vive una dimensione familiare ed è possibile conoscere le persone che ruotano attorno a quella casa. I membri di una Jumuiya, oltre a ritrovarsi settimanalmente, si assistono in caso di necessità quando, ad esempio, un membro o un familiare è malato.

Una volta al mese un sacerdote visita il gruppo. In quell’occasione, durante il rosario, è possibile confessarsi e dopo si celebra la messa. Così è accaduto qualche tempo fa, quando la nostra casa ha accolto don Giuliano e i membri della mia Jumuiya. Il nostro salotto si è trasformato in una piccola cappella che ospitava circa trenta persone. Era tutto ben organizzato e gioioso. Erano presenti anche alcune suore della comunità Francescana del Buon Pastore, che abitano nella zona della nostra parrocchia. Con le loro voci squillanti hanno guidato canti belli e vivaci. Altre persone si sono organizzate per la sadaka, cioè l’offertorio, e c’è stata una piccola processione dove si è portata, oltre all’elemosina, frutta di stagione.

Poi la serata è proseguita, perché quando c’è il sacerdote e si celebra la messa, si festeggia! Chi ospita la Jumuiya si preoccupa di preparare la cena: suor Antonella ha cucinato dell’ottima pizza, graditissima a tutti, e suor Elena ha preparato due torte che sono state accolte come una sorpresa, visto che di solito qui si mangiano solo per le feste di compleanno o durante grandi celebrazioni.

È stata una semplice serata, ma piena di gioia. C’erano persone di diverso tipo: dalla piccola Sarah, sei anni, venuta col papà, alla mitica Leah, una signora in pensione piena di vita e iniziativa che è l’anima del gruppo. C’erano Mary, una giovanissima mamma appena arrivata che vive col marito nel territorio della parrocchia, ed Elizabeth, che conosciamo da quando faceva le elementari e che ora sta facendo l’università. È un popolo gioioso che si trova insieme, segno di cos’è la Chiesa: persone, a volte anche molto diverse, unite attorno a Cristo. Si tratta di un dono grande che la nostra missione a Nairobi vive.

Risvegliare le domande

di Mariagiulia Cremonesi

Questo è il secondo anno che insegno filosofia al liceo professionale di Corenc, poco fuori Grenoble: è davvero una piccola goccia gettata nel grande mare del percorso scolastico dei ragazzi, perché consiste in un’ora a settimana, esclusi i periodi di stage lavorativi e le vacanze. Ho tre classi dell’ultimo anno, conosco gli alunni a settembre e a giugno dopo l’esame di maturità li vedo partire verso i loro orientamenti professionali già ben definiti: commerciale, gestionale, sanitario.

È affascinante poter toccare attraverso la filosofia alcuni temi che fanno parte delle materie che hanno nel percorso di studi: il lavoro, la responsabilità, la persona, la sofferenza, la morte. Ho deciso però di cominciare dando tempo alle domande, all’atto stesso di porsi delle domande. Ho chiesto loro di scrivermi su un foglio le questioni più importanti che hanno e mi sono ritrovata a leggere: “cosa c’è dopo la morte?”, “la vita è solo una messa in scena?”, “cos’è per te l’amore?”. Le ho raccolte e ho mostrato che la filosofia si interroga proprio su queste stesse domande, le domande ultime dell’uomo, e le riformula. La reazione è stata di sorpresa, come di qualcuno che scopre di essere anche lui, da sempre, un po’ filosofo! Se mi ha colpito vedere il loro spirito che si interroga, sono rimasta ancora più sorpresa da un altro esercizio che ho tentato in classe: ho dato loro una lunga lista di domande, su tanti temi e a vari livelli, come “perché lavoriamo?”, “si può perdonare tutto?”, “in nome di cosa dare la vita?”, “da dove viene la gioia?”, “possiamo cambiare il mondo?”. Ho chiesto loro di sceglierne una, la più vicina, la più personale, e di scrivermi un inizio di risposta. Li ho visti per la prima volta veramente impegnati, in silenzio, tutti presi soprattutto dallo scegliere la domanda. E allora ho pensato che si deve insegnare ai ragazzi di oggi a formulare le domande, a dar voce e mettere delle parole a sentimenti e moti che hanno dentro, perché non possiedono strumenti per leggere la vita e le loro stesse persone.

Tutto nella nostra società corre veloce e in superficie, c’è spazio solo per reazioni e non per interrogarsi sulle cose. Forse per questo un giorno Florian ha esclamato in classe: “Madame, ma la filosofia si fa domande su tutto! È stancante!”. L’ho guardato con simpatia, perché so che è una stanchezza buona, che se accettata lo farà crescere.