La grazia del Natale

Di suor Patrizia Ameli

Nel calendario liturgico, ogni “tempo” non è una semplice suddivisione convenzionale della Chiesa, ma un vero tempo di grazia. Così in Avvento cerco di chiedere il dono della pazienza, in Quaresima il dono delle lacrime, a Pasqua di rinascere di nuovo e a Natale?

A Natale arrivano i doni, le grazie più inaspettate, che vanno oltre ogni misura di comprensione umana, come l’incarnazione di Gesù nel grembo della Vergine. Come tutto il popolo di Israele, Maria attendeva la salvezza, ma tutto si sarebbe aspettata tranne l’incarnazione di questa salvezza nelle sue viscere!

Maria aveva atteso questa grazia, ma a volte addirittura può capitare che arrivino grazie che non attendiamo né chiediamo. Così, ad esempio, è accaduto per santa Teresina di Lisieux nella vigilia del Natale 1886. Aveva 13 anni e fino a quel momento era rimasta fermamente attaccata alle tradizioni natalizie di bambina. La forte delusione e tristezza di sentire quella sera suo papà stanco di riempire “le scarpe” con i doni ha fatto cambiare il suo cuore e ha fatto scoprire in lei una forza d’animo nuova che non l’abbandonò mai più[1]. In seguito Teresa definì questo episodio il suo “miracolo di Natale”.

Anche io posso dire di averne ricevuto uno in questo Natale, invisibile ad occhi umani ma grande agli occhi di Dio. Ho ricevuto un attimo di eternità. Questi attimi di eternità li riconosci perché sono punti di non ritorno, dove dal particolare vedi l’infinito amore di Dio per te. Quando sono a Roma, amo molto andare sul colle Aventino, nel giardino degli aranci, dove da una piccola serratura si può vedere San Pietro.

Non te l’aspetti, non ti immagini nemmeno che da una piccola fessura si possa scorgere l’infinito. Ma questo infinito è reale e tangibile grazie all’incarnazione, cioè grazie a quella serratura finita e stretta che costringe l’occhio a mettere a fuoco la cupola di San Pietro che dista cinque chilometri di distanza fisica. E pensare che quel bambino appena nato ha in sé tutto il tempo, lo spazio, la creazione, presente, passato, futuro e il destino di ogni uomo.

Questa è l’eternità incarnata e mi è stata fatta la grazia di riscoprirlo ancora una volta la sera della vigilia di Natale. Mi sono decisa “semplicemente” a chiedere scusa ad una sorella. Quell’atto di umiliazione mi ha fatto mettere un piede in paradiso, guardare dalla serratura.

Durante le feste di Natale ci sono spesso litigi in famiglia, a volte su come fare la crema al mascarpone o sul regalo sperato ma non ricevuto. Questo perché il divisore lavora più di Babbo Natale. C’è un brano nelle Lettere di Berlicche di Lewis che per me è sempre molto significativo. Lo zio (Berlicche ndr.) sta cercando di istruire il nipotino diavoletto al suo mestiere di divisore e parlando del Natale dice: “un Dio lontano è sempre più comodo di un Dio vicino”[2]. Infatti a volte il lamento è più comodo dell’affrontare la sorella che mi è vicina chiedendole scusa. Eppure, se si accetta di stare davanti al Dio vicino “la quotidianità, eccola trasformata, senza che apparentemente nulla cambi!”.

E perché è trasformata? Perché l’eterno è entrato nel tempo 2020 anni fa con Maria, grazie al suo “sì”. E oggi accade lo stesso avvenimento quando dentro alle situazioni concrete diciamo il nostro “sì”. Basta una serratura, uno spiraglio e la grazia entra e torniamo al solito lavoro, alle solite occupazioni quotidiane, più contenti.


[1] “Arrivando ai Buissonnets mi rallegravo di andare a prendere le mie scarpette nel camino, quest’antica usanza ci aveva dato tante gioie nella nostra infanzia, che Celina voleva continuare a trattarmi come una piccolina, essendo io la più piccola della famiglia… A Papà piaceva vedere la mia felicità, udire i miei gridi di gioia mentre tiravo fuori sorpresa su sorpresa dalle «scarpe incantate» e la gaiezza del mio Re caro aumentava molto la mia contentezza; ma Gesù, volendomi mostrare che dovevo liberarmi dai difetti dell’infanzia, mi tolse anche le gioie innocenti di essa; permise che Papà, stanco dalla Messa di mezzanotte, provasse un senso di noia vedendo le mie scarpe nel camino, e dicesse delle parole che mi ferirono il cuore: «Bene, per fortuna che è l’ultimo anno!…». Io salivo in quel momento la scala per togliermi il cappello; Celina, conoscendo la mia sensibilità, e vedendo le lacrime nei miei occhi, ebbe voglia di piangere anche lei, perché mi amava molto, e capiva il mio dispiacere. «Oh, Teresa! – disse -, non discendere, ti farebbe troppa pena guardare subito nelle tue scarpe». Ma Teresa non era più la stessa, Gesù le aveva cambiato il cuore! Reprimendo le lacrime, discesi rapidamente la scala, e comprimendo i battiti del cuore presi le scarpe, le posai dinanzi a Papà, e tirai fuori gioiosamente tutti gli oggetti, con l’aria beata di una regina. Papà rideva, era ridiventato gaio anche lui, e Celina credeva di sognare! Fortunatamente era una dolce realtà, la piccola Teresa aveva ritrovato la forza d’animo che aveva perduta a quattro anni e mezzo, e da ora in poi l’avrebbe conservata per sempre!” – santa Teresa di Lisieux, Storia di un’anima

[2] “Spero, caro Farfarello, che tu non ti sia lasciato sfuggire l’occasione, durante queste ultime feste natalizie, di ammirare qualcuno dei presepi che in molte case ancora si usa allestire per la gioia dei bambini e dei vecchi. Ce n’è di tutti i tipi, dal legno alla cartapesta, dal cristallo al bronzo, dalla terracotta al plexiglas…

Io amo i presepi. Dirai che sono un vecchio sentimentale… Ebbene, di’ pure, se vuoi. Prima però, senti quello che ho da dirti in proposito. Da secoli ormai un’idea mi frulla per il capo alla sola vista di un presepe, e te la voglio confidare in segno di stima. Ebbene, io credo che la grande quantità di energia che noi diavoli abbiamo sempre profuso per inventare argomentazioni seducenti contro Dio sia, in gran parte, fatica sprecata. Noi non dobbiamo creare nuovi argomenti: possiamo usare pari pari i loro. È il cuore che decide, e spesso decide male.

Pensa alle figure minori del presepe: c’è un solo Giuseppe, una sola Maria, un solo Gesù bambino. Un solo bue, un solo asino. Gli altri sono tutte comparse, compresi i Magi. Ogni uomo al mondo è una figura minore del presepe… Seguimi bene. Dopo aver reso omaggio al Messia, che fanno tutte queste comparse? Se ne tornano, semplicemente, al loro lavoro. Il carrettiere al suo carretto, il panettiere al suo pane, e così via. C’è qualcosa, in tutto ciò, che mi manda in confusione, che mi stordisce e mi umilia: ciascuno torna lieto al suo mestiere, anzi: se prima il lavoro gli pesava, ora gli pesa molto meno, perché ha visto il Messia. Che ira! Tutto diviene accettabile, amabile…

Ma poi, passata l’ira, ecco l’idea! La grande idea! Quella che è la più grande dimostrazione dell’esistenza di Dio, la quotidianità, eccola trasformata, senza che apparentemente nulla cambi, nella più grande delle bestemmie! Che cos’è mai il tuo Dio? Un’emozione momentanea prima di riprendere il solito tran tran. Un bambinello che ti salva finché resti in estatica contemplazione, ma poi? Immaginiamo quei poveri pastori al momento del congedo. Un inchino, un altro inchino, mettiamoci pure un terzo inchino. Ma poi le spalle dovranno pur voltare, e tornarsene alle loro pecore, non è vero? E allora noi diavoli pronti, in coro, a soffiar nelle loro orecchie: dalle obiezioni più collaudate (“come può Dio, nella sua bontà, permettere il dolore innocente?”) alle migliori invenzioni della modernità (l’uguaglianza di tutti gli uomini davanti a Dio si trasforma nell’egalité giacobina, che è il suo opposto), e via dicendo. Tutte le obiezioni contro Dio nascono dall’idea di un Dio lontano, che non vuole salvare concretamente gli uomini. Ma questa idea nasce, a sua volta, dalla comodità: un Dio lontano è sempre più comodo di un Dio vicino. È questa, Farfarello, la nostra carta vincente. Da sempre. Un abbraccio dal tuo Malacoda” – C.S. Lewis, Lettere di Berlicche


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