Una volta all’anno bussa alla porta di via Aurelia Antica un pulmino che ha attraversato l’Italia per raggiungere casa nostra. È un pulmino carico di falegnami brianzoli. Bussano a una porta che hanno costruito loro, come molto altro in questa casa. Dopo i saluti, sistemate le loro cose, chiedono la lista dei lavori da fare: finestre da riverniciare, porte da aggiustare, sedie da incollare, mensole da montare.
Lavorano senza sosta per una settimana; si fermano solo per mangiare e per partecipare a fine giornata alla messa nella nostra cappella. Non solo lo fanno gratis, ma lo fanno gratuitamente. Da buoni brianzoli se li ringrazi troppo si arrabbiano. Si muovono con disinvoltura nei meandri più nascosti di questo convento. Peguy li paragonerebbe agli operai di un tempo che lavoravano perché «ogni parte della sedia fosse ben fatta». Dicevano infatti che «ogni parte della sedia che non si vedeva era lavorata con la medesima perfezione delle parti che si vedevano. Secondo lo stesso principio delle cattedrali». Così può capitare di trovarli su un tetto a sistemare delle tegole che avevamo dimenticato essere fuori posto: i loro occhi arrivano ai particolari. Scartavetrare le finestre è per loro come una preghiera, come una supplica innalzata al cielo perché la Chiesa continui, perché Gesù abbia una casa e la sua Parola possa ancora percorrere le strade del mondo. Ci ricordano che qui dove veniamo formate ci è donata una casa bella e ordinata che è costruita da un popolo, da uomini che amano la Chiesa. Li descrive bene Henri de Lubac: «Eccoli fratelli che vibrano all’unisono, rispondendo alla medesima chiamata, in comunione nello stesso amore. Figli della Chiesa, hanno tutti ricevuto in eredità lo stesso Cristo».