Cari fratelli e sorelle,
care Missionarie di san Carlo,
cara suor Rachele e, infine, cara suor Teresa,
saluto te, i tuoi famigliari e tutti gli amici, in particolare gli amici di Zaccheo, che ti fanno corona in questo momento così decisivo della tua vita.
La liturgia dell’Annunciazione racchiude in sé una pluralità di misteri che vanno dall’iniziativa di Dio Padre verso Maria, al suo sì e alla conseguente incarnazione del Verbo nel suo seno per opera dello Spirito Santo. È un mistero, perciò, trinitario e costituisce una cornice perfetta per quanto avverrà tra poco nel dialogo tra Teresa e il suo Signore, dialogo nuziale e, nello stesso tempo, comunitario.
Se noi rileggiamo con attenzione le parole dei riti che tra poco vivremo, così come sono state scritte dalla Chiesa e redatte dalla comunità delle Missionarie di San Carlo, troviamo chiaramente espressa la peculiarità di questa comunità, che è propriamente la vita comune.
La Chiesa prevede, oggi, l’adesione sponsale a Cristo attraverso varie forme di vita, non necessariamente legate alla vita comune. Penso alle eremite, all’Ordine delle Vergini, agli Istituti secolari. Voi, invece, avete aderito ad una forma particolare di vita consacrata che lega indissolubilmente la sponsalità alla comunione con le sorelle. Chiedete a Cristo di essere sue spose diventando partecipi di una comunità. Questa forma storica di vita consacrata, che nasce dal vostro rapporto con la Fraternità dei Missionari di San Carlo, a cui vi ispirate, deve essere da voi attentamente meditata e custodita come il punto più profondo e rivelatore della vostra vocazione.
Abbiamo ascoltato ora la risposta di Teresa alla domanda della Superiora. Ella ha detto: “Desidero essere un cuor solo e un’anima sola con questa comunità”, quasi identificando in questa finalità il senso più profondo della sua vocazione. Le interrogazioni che avverranno dopo la mia omelia torneranno a riprendere queste note. La consacrazione a Cristo Sposo genera e si verifica nell’appartenenza alle sorelle per amore di lui, nella carità per le sorelle, nel condividere con loro l’amore per il Signore e per gli uomini. Una espressione molto forte, che esige una comprensione accurata, concluderà il rito di professione: “D’ora in poi tutto sarà in comune tra noi”, dirà la Superiora a Teresa.
Care sorelle,
il vostro Istituto è ancora ai primi passi della sua storia. Esso deve fondare le proprie radici in questa identificazione singolare fra la consacrazione a Cristo e la carità vissuta nella vita comune. Non ci sono molti esempi nella Chiesa attuale di comunità che sottolineino l’importanza di questo legame. L’individualismo radicale, pratico e ideologico, del nostro tempo è penetrato profondamente anche nella Chiesa. Si parla qua e là di vita comune o comunitaria, ma si stenta ancora ad afferrarne la centralità per la vita della Chiesa.
La vita comune non è un particolare che può esserci o non esserci. Essa è la rifrazione della vita della Trinità nel tempo e riguarda, perciò, ogni cristiano, perfino ogni uomo. Questa è la ragione primaria della luminosità della scelta di Teresa.
Proprio in queste stesse ore il Santo Padre e molti vescovi del mondo stanno consacrando al Cuore Immacolato di Maria il popolo russo e il popolo ucraino. Un atto di consacrazione, come un atto di consacrazione è quello che qui stiamo vivendo. La consacrazione a Dio è sempre un atto politico, un atto capace di rigenerare il cuore dell’uomo nella direzione di un rinnovamento di tutta la società. Queste sono la luce e la pace che si esprimono nel sì di Teresa. Consacrare la propria vita a Dio vuol dire riconoscere che egli esiste, è il nostro creatore e noi siamo perciò sue creature. Significa anche riconoscere che egli è il nostro salvatore, che tutti noi siamo peccatori e bisognosi di conversione. Significa che Dio è la forza della nostra conversione. Egli rende possibile la pace, perché egli è la pace, cioè la comunione.
Il gesto di Teresa è perciò un gesto profetico per tutta l’umanità. Indica la strada per l’uomo. Se l’umanità vuole allontanarsi dalla catastrofe, dalla propria autodistruzione, se le comunità sociali e civili, le famiglie vogliono rinascere devono tornare a Dio. È questo il grido che risuona nella Chiesa in questo tempo di Quaresima, in questo deserto dello Spirito in cui l’umanità sembra ripiombata. Lo Spirito di Dio fa fiorire il deserto. Bastano poche gocce d’acqua perché rinascano i fiori, fra cui le bellissime rose del deserto.
La vita comune non è opera dell’uomo, per questo la guerra è sempre un’opzione possibile nella storia dell’umanità. Ad essa ci dobbiamo preparare e anche lavorare affinché i cuori e le menti si purifichino dal profondo. La vita comune nasce da Dio. Come ho detto, essa è un riflesso e una rivelazione della vita trinitaria nel tempo. In una comunità l’autorità è il segno di questa origine dall’alto, il segno che non è possibile un’autorigenerazione.
Per andare incontro al rinnovamento della nostra umanità, dobbiamo aprirci a qualcosa che accade fuori di noi o anche, per salvare l’intuizione di sant’Agostino, dentro di noi, ma in una profondità che non è nostra. La vita comune, così come la sponsalità con Cristo, esige una disponibilità del cuore ad abbracciare sempre nuovi orizzonti non conosciuti, nuove diversità, nuovi traguardi. L’autorità di Dio e di Cristo indicano questi traguardi e li rendono possibili.
Nella comunità l’autorità è al servizio di tutto ciò. Essa è un servizio alla comunione, alla carità. Proprio questo rende così arduo essere autorità, in una coniugazione continua tra verità e carità. Ogni autorità è relativa a Dio, vive in un cammino continuo di conversione perché ogni giorno è chiamata a rispondere alla domanda: cosa mi chiede la carità nella verità? Durante questi quasi quarant’anni dalla nascita della Fraternità San Carlo ho molto insistito sulla figura dell’autorità, il cui esercizio è decisivo per la vita di una comunità. Gesù ci presenta l’autorità come il pastore bello e buono. La sua bellezza è un riferimento alla verità. La sua bontà alla carità. Tutto ciò ci indica il fatto che la vita comune è un cantiere, continuamente aperto, in cui emergono doni e limiti, gioie e fatiche. Assieme dobbiamo comporre tutto questo in un quadro sempre nuovo che è la gloria di Dio.
Penso che la Fraternità San Carlo e le Missionarie di San Carlo abbiano da svolgere, con umiltà sincera, un compito importante dentro la Chiesa: mostrare la relazione essenziale e feconda tra autorità e comunità.
Cara Teresa,
il brano della lettera agli Ebrei che abbiamo ascoltato descrive perfettamente non solo la vita di Cristo, ma anche la tua. Io vengo, ha detto Cristo e hai detto tu. Vengo con tutta me stessa. “Con il mio corpo”, dice la traduzione greca, cioè con la mia vita. Questa promessa apre un orizzonte sconfinato che tu ora puoi soltanto presagire. Un orizzonte di avventura e di obbedienza, di luminosità e di sacrificio in cui si inscrive contemporaneamente la storia del mondo e la Gerusalemme celeste, la vita sulla terra e la vita nel cielo.
Ricevendo l’anello nuziale dirò tra poco queste parole, con cui voglio esprimere il mio augurio per la tua persona: “Sii sempre fedele a Cristo tuo sposo, perché un giorno egli ti unisca a sé nelle nozze della vita eterna”.
Amen.